Ho viaggiato in Sudan con il gruppo Pompili di Avventure nel Mondo alla fine del 2016.
Diciamolo francamente: il Sudan non è una di quelle mete che saltano subito agli occhi e quindi attira l'interesse di chi in Africa c'è già stato tante volte.
Infatti il nostro gruppo era formato da undici viaggiatori incalliti, di quelli che hanno girato tutto il mondo e si portano dietro un bel bagaglio di esperienze e di aneddoti.
Questo si rivela molto utile nelle serate nel deserto, dove gli smartphone non prendono e non resta altro che chiacchierare e raccontare.
Il nostro viaggio si è svolto in Nubia, la parte nord-occidentale del Sudan, dominata dal deserto che conserva le rovine della dominazione egizia e della semi-sconosciuta civiltà kushita.
I Kushiti, forse meno megalomani e più pragmatici degli Egizi, circa 2700 anni fa costruirono tantissime piccole piramidi, molto appuntite, per custodire le sepolture di re e di alti papaveri.
Dei centri cerimoniali e delle antiche città carovaniere non restano altro che le tracce degli edifici costruiti in adobe, che il deserto sembra volersi riprendere anno dopo anno, a dispetto degli sforzi degli archeologi per riportarli alla luce.
Oggi lungo il Nilo, che si forma a Khartoum dalla confluenza tra il Nilo Bianco e il Nilo Azzurro, vivono i Nubiani, un popolo di agricoltori e allevatori, che costruiscono tuttora in adobe le loro grandi case, decorate con coloratissimi portoni e disegni stilizzati.
Forse fino a qualche anno fa il Nubia Sudan era un itinerario duro, tutto su pista… ma adesso non è più così!
I Cinesi hanno costruito strade perfettamente asfaltate che seguono il corso del Nilo o attraversano il deserto di Bayuda, rendendo i tempi di percorrenza molto più veloci e rilassanti.
L'unica "difficoltà" è il dormire in tenda, anche se per fortuna, di tanto in tanto, si riesce a dormire nel letto di una rustica casa o guesthouse nubiana.
La cosa che più mi ha colpito è il senso di ospitalità sudanese. Davanti alle case nubiane, riparati sotto una tettoia, si trovano sempre alcuni orci che contengono acqua fresca, a disposizione di chiunque abbia sete e passi di lì.
Nei villaggi le famiglie accolgono i turisti nelle loro case e permettono loro di scattare interi servizi fotografici, spesso ringraziando e offrendo ottimo tè.
La conversazione è fatta di sguardi, di sorrisi, di un paio di parole in arabo e di una decina di parole in inglese.
Oltre ai villaggi, un luogo di incontro sono i pozzi d'acqua dove i Nubiani fanno abbeverare gli asini e i dromedari, che ancora utilizzano per spostarsi e trasportare merci.
Un altro aspetto intrigante del Sudan è che ci sono pochissimi turisti.
Abbiamo visitato i siti archeologici senza che ci fosse assolutamente nessuno o incrociando al massimo un altro gruppo.
Il prezzo dei ticket di ingresso ai siti è uno dei misteri meglio custoditi del Sudan: il mio consiglio è di portare in viaggio una capogruppo agguerrita e disposta a contrattare e a battagliare, in modo da pagare cifre ragionevoli.
Un nota dolente del viaggio è invece la cucina sudanese: il piatto nazionale è il ful, una sorta di intingolo di fave.
Questo giustifica i chilometri di campi di fave lungo il Nilo, ma non rende famosa nel mondo la cucina locale.
Un altro aspetto negativo è che, per quanto si navighi lungo il placido corso di uno dei fiumi più lunghi del mondo, non c'è modo, in questa stagione, di vedere i coccodrilli, che si spostano in località dove l'acqua è più calda.
Non fidatevi, dunque, dei barcaioli locali, che vi promettono di vedere "crocodiles, big and small, everywhere crocodiles".