L'Etiopia è un paese antichissimo, uno dei pochi in Africa che ha resistito alla colonizzazione. Questo viaggio è stato dedicato al sud, in particolare alla zona dell'Omo River, dove vivono alcune tra le più interessanti etnie africane. Ho trascorso diciotto giorni indimenticabili nel dicembre 2001 con il Gruppo Scipioni di Avventure nel Mondo.

Il periodo migliore per questo itinerario è l'inverno, che corrisponde alla stagione secca.
Le strade sono asfaltate da Addis Abeba ad Arba Minch e da Addis Abeba a Dire Dawa. 
Nella zona dell'Omo River si percorrono piste, spesso in pessime condizioni, che in caso di pioggia si trasformano in torrenti fangosi.
Per questo motivo è necessario utilizzare dei fuoristrada e questo incide notevolmente sul costo del viaggio.
Per i pernottamenti abbiamo utilizzato soprattutto i Bekele Molla, una catena di hotel spartani e a costi contenuti. 
A sud di Arba Minch e nei parchi occorre la tenda.
Nelle città e nei villaggi si trovano abbastanza facilmente ristoranti o bar che cucinano pesce e carne, accompagnati dall'injera, il tipico pane etiope.
Nella zona dell'Omo River e nei Parchi abbiamo utilizzato le nostre scorte di viveri e la cucina da campo.

ETNIE

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GLI OROMO – altopiano centrale e orientale
Sono il maggiore gruppo etnico dell'Etiopia e costituiscono circa la metà della popolazione. 
Provengono probabilmente dalle zone del sud e sebbene anticamente fossero pastori nomadi e guerrieri, oggi sono per lo più sedentari.
Possono essere musulmani, copti o animisti. Utilizzano il sistema sociale gada, che si basa su classi di età: la vita degli uomini è divisa in cicli di otto anni e solo a partire dal quarto ciclo possono assumere incarichi importanti nella comunità.
 
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GLI AFAR – a est di Addis Abeba
Conosciuti anche con il nome di Dancali, sono principalmente dediti all'allevamento. 
Molti sono ancora pastori nomadi e quando devono spostarsi con le mandrie caricano le strutture delle capanne sui dromedari. 
Vivono nella zona orientale dell'Etiopia ed è possibile incontrarli lungo la strada tra Addis Abeba e Harar.
 
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GLI ADERÈ – a est di Addis Abeba
Conosciuti anche con il nome di Harari, sono musulmani di origine semitica e vivono principalmente ad Harar e Addis Abeba.
Le donne indossano vestiti dai colori vivaci. Lo stile delle case è particolare: costruite in muratura e su due piani, sono piene di colori e decorate sia all'esterno che all'interno con motivi floreali e stilizzati.
La quantità di ceste e piatti simboleggia la capacità della famiglia di ricevere ospiti e organizzare feste, e quindi la sua ricchezza.
 
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GLI HAMER-BANNA – Omo River e lungo i confini con Kenya e Sudan
Vivono nella zona dell'Omo River e si possono incontrare numerosi ai mercati di Turmi e Key Afer. 
Coltivano sorgo, miglio, verdure e allevano capre e galline. 
Le donne indossano pelli di capra decorate con perline e cipree; utilizzano le zucche svuotate e decorate come contenitori e indossano pesanti bracciali di metallo. La prima moglie di solito indossa un particolare collare di ferro, che ne indica la posizione privilegiata. Gli uomini indossano particolari copricapi di argilla impastata, con una o due piume di uccello. 
Si muovono stringendo fra le mani il "borkota", poggiatesta in legno intagliato. 
Ogni giovane che decide di cercar moglie deve prima superare la prova del "Jumping Ox".
Anche per gli Hamer il sistema sociale si basa sulla divisione in classi di età degli uomini.
 
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I KARO – regione meridionale dell'Omo River 
Sono un piccolissimo gruppo etnico decimato da carestie ed epidemie che ormai sta scomparendo.
Vivono in poveri villaggi di capanne sulla riva orientale dell'Omo, in un ambiente spettacolare ma che impone condizioni di vita molto dure.
L'abbigliamento assomiglia a quello degli Hamer, ma i Karo si distinguono per la fantasia con cui utilizzano materiali di recupero (bottoni, graffette, cappucci delle penne, chiodi) per creare decorazioni e gioielli.
 
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GLI TSAMAI – Omo River e Lago Chamo
Anche questo gruppo etnico ricorda gli Hamer. 
Le donne sposate indossano ampi collari decorati con numerose cipree, le conchiglie provenienti dal Mar Rosso, che anticamente venivano utilizzate come moneta. 
Le ragazze non sposate inseriscono invece un disco di metallo tra i capelli, per segnalare la loro condizione di nubili.
 
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I BUMI – regione meridionale dell'Omo River
E' un altro piccolo gruppo etnico della zona dell'Omo. 
Utilizzano pelli di capra per l'abbigliameno e cipree per le decorazioni delle gonne e dei mantelli. 
Sono agricoltori e pastori e si possono incontrare al mercato del sabato di Dimaka, dove si recano per vendere banane e ortaggi. 
Come gli Hamer utilizzano zucche intagliate e decorate per contenere gli acquisti e i soldi.
 
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I KONSO – Konso
Vivono a Konso e nei villaggi limitrofi, come Gesergio e Machekie. 
Coltivano la terra con un sistema di terrazzamenti e la coltura principale è il sorgo. 
Una tradizione che li contraddistingue è quella di erigere i waga in memoria dei guerrieri morti: si tratta di sculture in legno che simboleggiano il guerriero, le sue mogli, i nemici e gli animali feroci uccisi. 
Ormai rimangono pochissimi waga nei villaggi Konso, perchè molti sono stati venduti a turisti e antiquari o trafugati. 
Inoltre l'opera dei missionari ha fatto sì che questa tradizione stia scomparendo.
 
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I MURSI – Mago National Park
Sono agricoltori e allevatori semi-nomadi e vivono principalmente all'interno del Mago N.P., nelle zone più impervie della regione dell'Omo. 
Si riconoscono facilmente perchè le donne hanno l'usanza di inserire il piattello labiale. Si tratta di piattelli in argilla, decorati con semplici graffiti e con una scanalatura che ne permette l'inserimento nel labbro inferiore o nei lobi delle orecchie. Li portano solo le donne, che iniziano da piccole inserendo pezzetti di legno ed allargando il buco con piattelli sempre più grossi mano a mano che crescono. Non si sa di preciso il motivo di questa usanza, alcuni antropologi ipotizzano che servisse a scoraggiare il rapimento delle donne da parte degli schiavisti.
 
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I DORZE – Chencha-Dorze
Vivono nei villaggi di Chencha e Dorze, nelle montagne che sovrastano Arba Minch. 
Sono agricoltori ed abili tessitori di cotone. 
Vivono in capanne che hanno una curiosa forma ad alveare, con una piccola stanza di entrata che sporge come un nasone dalla struttura principale. 
All'interno si trovano il recinto per gli animali, la zona dei genitori e la zona per i figli, al centro c'è il focolare. 
All'esterno si trovano un piccolo orto con le spezie, alcune piante di tabacco e numerose palme di ensete.
 

CITTÀ

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Addis Abeba fu fondata dall'imperatore Menelik nel 1887. 
Si trova ad un'altitudine di circa 2.200 metri, ai piedi del Monte Entoto.
Conta più di 4 milioni di abitanti ed è il cuore politico e commerciale del paese. 
Il suo nome significa in amarico "nuovo fiore", ma in realtà non è una gran bellezza!

Come molte capitali africane ci convivono antico e moderno, ricchezza e povertà, benessere e squallore. 
Vi sono alcuni edifici coloniali, sopratutto nella zona della Piazza: in soli cinque anni l'inarrestabile architettura fascista riuscì a lasciare un segno anche qui.
Palazzi antichi e moderni, a volte in buono stato e a volte cadenti, sono circondati da baracche e da terreni pieni di detriti e rifiuti.
Per fare acquisti, dai libri ai souvenir all'antiquariato, il posto migliore è l'animata e centrale Churchill Avenue.
La Piazza (che conserva ancora il nome italiano) è una zona di hotel, bar e ristoranti a prezzi convenienti.
Ad Addis Abeba ci sono due interessanti musei, che vale assolutamente la pena visitare. 

Il Museo Etnografico ha una bella esposizione di strumenti musicali e di croci copte; inoltre è possibile visitare la camera da letto e il bagno dell'imperatore Hailé Selassiè. 
Il Museo Nazionale si trova nella zona dell'Università di Addis Abeba: oltre ad oggetti e reliquie della storia etiope conserva, in un'esposizione moderna e ben allestita, gli scheletri di animali preistorici e soprattutto le ossa di Lucy.
Un luogo da non perdere è l'enorme mercato all'aperto, che copre un'area di circa 30 kmq ed è probabilmente uno dei più grandi di tutta l'Africa. 
Si vende veramente di tutto, dal cibo agli oggetti in paglia, dai mobili ai sandali fatti con i pneumatici. 
Di giorno non ci è sembrato un luogo pericoloso, anche se bisogna fare attenzione ai borseggiatori (esattamente come nei mercati italiani!), ma pare sia meglio non addentrarsi nell'intricato dedalo di viuzze dopo il tramonto. 

Harer è stata fondata nel 1520 e fu un importante centro culturale dell'Islam, come testimoniano le sue 99 moschee. 
Le mura cittadine con le porte di accesso dislocate nei punti cardinali, i vicoli del mercato, le case dipinte di bianco evocano l'architettura moresca.
Harer ha avuto due illustri cittadini: il poeta francese Rimbaud, la cui casa è oggi un piccolo museo, attualmente in restauro; il re Hailé Selassiè durante la sua giovinezza.
La costruzione della linea ferroviaria che unisce Addis Abeba a Gibuti ha privilegiato la vicina Dire Dawa, che ha il pregio di trovarsi in una valle anzichè sulle montagne. 
Harer ha perciò perso il ruolo di centro commerciale e culturale ed ha iniziato un lento declino. 
Ad Harer vivono gli Aderè, un'etnia di religione musulmana, che si contraddistinge per le case coloratissime e per l'abbigliamento delle donne, che è altrettanto vivace. 
Alcune case tradizionali sono state trasformate in negozi di artigianato, dove si possono acquistare cesti, oggetti in legno, tessuti e gioielli in argento.
Ad Harer sopravvive una curiosa tradizione: di notte alcuni uomini attirano iene selvatiche fuori dalle mura della città e le nutrono con pezzi di carne. 
Sebbene oggi sia probabilmente uno spettacolo organizzato per i turisti, ha origini molto antiche.
In Etiopia la iena è considerata da diversi gruppi etnici un animale magico ed utile, perchè raramente attacca gli esseri umani e tiene pulite le città eliminando parte dell'immondizia. 
Ancora oggi nella foresta che circonda Harar una volta all'anno viene preparato un grande pasto per le iene: se esse lo mangiano tutto si prepara un anno fortunato.

RIFT VALLEY

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La Rift Valley si è formata in seguito allo sprofondamento e alla spaccatura della crosta terrestre avvenute circa 50 milioni di anni fa. 
È un immenso corridoio, largo tra i 30 e i 100 km, che si estende per circa 5000 km dalla Siria al Mozambico.
Un quarto del suo intero corso si trova in Etiopia.
La valle attraversa l'Etiopia in diagonale, da sud-ovest a nord-est, spaccando a metà l'altipiano centrale.

Il terreno è molto fertile, perchè di origine vulcanica, quindi si tratta di un territorio generalmente molto popolato. 
A sud di Addis Abeba la Rift Valley ospita una cintura di sette laghi, ricchi di fauna e vegetazione, che in passato dovevano avere dimensioni molto più ampie.
Sebbene non siano vasti come altri e più celebri laghi africani (il Tanganica, il Vittoria, il Malawi, il Turkana) costituiscono un luogo di interesse oltre che di passaggio obbligato verso il sud del paese.

A circa 100 km da Addis Abeba si incontra il Lago Ziway: è il più grande di questo gruppo settentrionale di laghi, salino, fortemente pescoso, regno della telapia del Nilo. 
Ha cinque isole vulcaniche, sulla più grande sorgono i resti di tre monasteri. 
Pochi monaci vivono ancora in quello principale, che secondo le leggende locali ospitò nell'IX secolo l’Arca dell’Alleanza. 
Il lago Ziway è popolato da ippopotami e ci vivono molti uccelli acquatici, come pellicani, anatre, marabù e cicogne, attirati dall'abbondanza di tilapie e dagli scarti dei pescatori. 
Nella tarda mattinata è facile incontrare le mandrie che vengono ad abbeverarsi e i pescatori che puliscono e preparano il pesce.

Tre laghi in rapida successione fanno parte dello stesso bacino idrografico: sono l'Abijata, lo Shala e il Langano.
Il Langano è l'unico lago etiope libero dalla bilarzia ed è perciò balneabile e meta del turismo locale.
Abiata è salmastro e profondo solo 14 metri; il suo livello è sottoposto a variazioni periodiche, di cui non si è ancora capita la causa.
È il rifugio prediletto di immense schiere di fenicotteri.
Shala si trova invece all'interno di un cratere e con i suoi 260 metri è il più profondo della Rift Valley etiope.
Nei pressi del Lago Shala ci sono delle sorgenti sulfuree; bisogna prestare attenzione perchè in alcune pozze l'acqua raggiunge temperature molto elevate.
Il piccolo Lago Awasa è un luogo molto pittoresco. 
È anch'esso popolato da uccelli acquatici ed ha un mercato del pesce che merita una visita. 
Durante la mattina i pescatori si riuniscono in una zona recintata sulla sponda del lago per pulire il pesce e per dipanare le reti. 
I bambini raccolgono gli occhi dei pesci, che tirano ai pellicani per attirarli a riva. 

I laghi gemelli Chamo e Abaya sono separati solo da una lingua di terra soprannominata "il ponte di Dio", forse per la vista spettacolare che offre. 
Sul lago Chamo sorge Arba Minch, una delle principali città etiopi. 
Chi sosta qui per la notte alloggia di solito all'Hotel Bekele Molla, fornito di un grande terrazzo da cui si gode una bella vista. 

Il lago Chamo è popolato da coccodrilli, che si possono vedere con un giro in barca o visitando uno dei tanti allevamenti che sorgono lungo le sue rive.
Un'escursione interessante che si può fare da Arba Minch è la visita dei vicini villaggi di Chencha e Dorze, che si trovano sulle montagne alle spalle della città.
Al confine estremo dell’Etiopia, alla frontiera col Kenya, rimane il solitario Chew Bahir, il settimo ed ultimo lago della Rift Valley.

OMO RIVER

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Il fiume Omo, esplorato da Bottego nell'estate del 1896, scorre nella parte meridionale dell'Etiopia e si immette nel Lago Turkana.
Lungo le rive di questo fiume vissero diverse specie di ominidi e di animali preistorici, come testimoniano i numerosi ritrovamenti archeologici.
La zona dell'Omo River era la meta principale di questo viaggio e non mi ha certo deluso.
Attraverso strade sterrate e piste in pessime condizioni, ci si addentra nelle lowlands etiopi, raggiungendo villaggi e mercati dove vivono alcune popolazioni tribali tra le più particolari e primitive dell'Africa.
La vita di questa gente è veramente semplice e legata ad un regime di sussistenza, tormentata da un'alta mortalità infantile e da malattie come malaria e febbre gialla. 

I turisti, così diversi e strani, vengono chiamati ferengi, termine generico usato in tutta questa zona per indicare i bianchi, che deriva forse dall'inglese french o dal persiano firangi, utilizzato anche nello Sri Lanka.
I ferengi regalano caramelle, penne, magliette e soprattutto birr nuovi di zecca perciò vanno assillati fino all'inverosimile!
I più poveri e i più isolati, come i Karo e i Mursi, sono anche i più insistenti e non accettano assolutamente che si fotografino loro e le loro capanne se non li si paga.
Ci assoggettiamo alle loro richieste, qualche birr per noi non ha significato, ma per questa gente che vive nella povertà e nella malattia può fare la differenza. 

villaggi dell'Omo River sono abbastanza diversi tra loro: gli Hamer e i Konso ad esempio recintano le capanne, come a identificare lo spazio che appartiene ad ogni famiglia; tra i Mursi e i Karo queste separazioni sono meno evidenti e definite. 
All'interno del recinto spesso si trovano un piccolo orto, uno spazio per gli animali e il pollaio.
Le capanne degli Hamer, dei Karo e dei Mursi sono circolari, con una struttura di pali di legno ricoperta con foglie di ensete essiccate. 

villaggi dei Galeb sorgono nei pressi di Omo Rate e del Lago Turkana.
Le capanne sono piccole, meno curate ed hanno una forma di zuccotto: si tratta di rifugi provvisori, destinati ad essere smantellati e ricostruiti all’interno, appena le piogge cominciano ad ingrossare l'Omo River.
I Galeb sono pastori, convivono con asini, pecore e capre in una terra desertica e inospitale. Sono molto alti e longilinei. 

Il villaggio di Machekie è un modello vivente di architettura Konso. 
Le capanne sono le più imponenti dell'Omo: il tetto è formato da due coni sovrapposti per una migliore protezione dall’acqua.
È ricoperto di sambelet, erba a gambo lungo diffusissima nella zona; sulla cima è sempre posto un vaso come decorazione. 
Questi tetti possono durare da 7 a 10 anni, poi vengono rifatti.
Ogni capanna è recintata e possiede un granaio per il sorgo, la principale coltura di questa zona. 
Alcune grandi capanne senza pareti sono le case della collettività, dove tutti, comprese le donne, possono riunirsi per godere il fresco o riposare.
Nella piazza principale di Machekie si trovano alcuni waga: sono pali di legno tenero intagliato e provato dalle intemperie, che raffigurano un antenato particolarmente coraggioso, le sue mogli e figli, gli animali selvatici uccisi.
Un tempo ogni famiglia possedeva un gruppo di 6/7 waga, che avevano lo scopo di proteggerla da disgrazie e malattie: oggi ne sono rimasti pochissimi, perchè venduti o trafugati agli antiquari.
Inoltre i missionari, le cui chiesette sorgono tra le capanne del villaggio, hanno scoraggiato il protrarsi di questa tradizione.

Su un pianoro che domina l'Omo River, a pochi chilometri dall'ingresso del Mago N.P. sorgono alcuni villaggi karo.
Karo sono molto poveri e sono rimasti in pochissimi.
Sono noti per le belle pitture e le scarnificazioni con cui decorano il proprio corpo.
Le scarnificazioni vengono eseguite dalle donne sulla pancia e lo sterno o sotto il seno con una serie di linee orizzontali e verticali. 
A differenza delle Mursi, le Karo s’infilzano il labbro inferiore con tutto ciò che trovano: spine di acacia, chiodi, viti.

All'interno del Mago N.P., al termine di una pista fangosa e difficile da percorrere, in una zona che è il regno della mosca tsè-tsè, si trova Omo Mursi
Gli abitanti di questo piccolo villaggio vivono evidentemente in attesa che arrivi qualche gruppo di visitatori. 
Il contatto con il turismo li ha resi avidi di birr e bisogna contrattare su ogni foto o danza o performance. 
Mursi si dipingono il corpo e si addobbano il più possibile, ma si tratta evidentemente di pitture corporali sciatte, fatte in fretta solo per rendersi più "fotogenici": hanno ormai capito perfettamente i gusti e le esigenze fotografiche dei turisti. 
Il contatto con i Mursi è stato deludente per tutto il gruppo e ci ha fatto riflettere sulle conseguenze del cosiddetto "turismo etnico".
I Mursi rimangono in ogni caso un popolo particolare, reso famoso dal fatto che le donne usano il piattello labiale come segno di bellezza.
Fatti con argilla rossa o grigia, talvolta decorati con graffiti, i piattelli hanno una scanalatura che ne permette l'inserimento nel labbro inferiore o nei lobi delle orecchie.
Li portano solo le donne, che iniziano da piccole inserendo pezzetti di legno ed allargando il buco con piattelli sempre più grossi mano a mano che crescono.
Non si sa di preciso il motivo di questa usanza, alcuni antropologi ipotizzano che servisse a scoraggiare il rapimento delle donne da parte degli schiavisti.
Tuttavia vedere il labbro penzolare quando il piattello non è inserito è una cosa abbastanza tremenda. 

mercati di Key Afer il giovedì e di Dimaka il sabato sono incredibili per le scene e i colori: Hamer, Banna, Tsamai, Bumi vengono numerosi per vendere o barattare. 
I generi principali sono burro, verdure, banane, peperoncino, galline, stoffe, pali per costruire le capanne. 
Le donne si aggirano con le calabasse decorate a tracolla, dove tengono soldi e mercanzie.
Gli uomini invece stringono in mano il borkota, una sorta di sgabellino in legno intagliato. 
Non è facile per noi capire la differenza tra le varie etnie che frequentano Key Afer e Dimaka, perchè sembrano un po' tutti simili nei tratti somatici, nell'abbigliamento e nel modo di acconciarsi i capelli… ma non ha molta importanza: lo spettacolo è bellissimo lo stesso!
Un segno che contraddistingue le donne sposate è un grande collare, mentre le ragazza nubili portano un piattello tra i capelli.

In questa parte dell'Etiopia circolano pochissimi soldi e si utilizza largamente il baratto.
La gente pretende che i birr siano assolutamente nuovi di zecca, i soldi un po' consumati non vengono presi in considerazione. Il birr è la moneta etiope; le banconote da 1 birr valgono 0,13 euro.

JUMPING OX

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Il "Jumping Ox" o "Salto del toro" è una cerimonia degli Hamer, etnia che vive principalmente nella zona dell'Omo River. 
Ogni giovane verso i 18/20 anni, quando decide di fidanzarsi, deve superare questa prova di coraggio.
La cerimonia è preceduta da una serie di danze propiziatorie e cerimoniali che vanno avanti per tutta la giornata e che coinvolgono tutta la tribù. 
Nella mattinata le ragazze che appartengono alla famiglia del giovane sfidano i ragazzi del villaggio, che le inseguono e le frustano sulla schiena. 
Le donne si sottomettono senza pianti e lamenti a questa tortura, perchè devono dimostrare il loro coraggio e quello della loro famiglia.
Inoltre le cicatrici sono sinonimo di bellezza: per gli Hamer la bellezza non è tanto nel viso quanto nella schiena, che sottopongono infatti a scarnificazioni, tatuaggi e, appunto, frustate. 

Nel pomeriggio le donne intonano cori e danze intorno ai tori, messi a disposizione da tutte le varie famiglie del villaggio.
Le donne girano, saltano e agitando bastoni, sembrano piuttosto minacciose e guardano malissimo chi le fotografa!
Solo al tramonto comincia la cerimonia del salto vero e proprio. 
Le madri del villaggio formano un grande cerchio, mentre gli uomini si preparano a far entrare i tori prescelti. 
Compare il ragazzo, che è completamente nudo, a parte una sorta di bastoncino di legno, che tiene legato al petto con delle corde.
Con un altro bastoncino, evidente simbolo fallico, tocca la schiena dei tori in segno propiziatorio.
Gli uomini tengono fermi ed affiancati i sei tori prescelti, tirandoli per la coda e per le corna. 
Il padrino del giovane, tutto dipinto di nero con il carbone, prega per lui. 
E finalmente il ragazzo salta sulle schiene dei tori, due volte in avanti e due volte indietro! 
È ammessa una sola caduta, che viene imputata ai tori, ma se cade due volte il giovane si copre di vergogna e potrebbe anche faticare a trovare una moglie e metter su famiglia. 

Il ragazzo che abbiamo visto noi ha saltato velocemente ed agilmente i tori, schizzando avanti e indietro in pochi secondi! 
Ora è pronto per cercare una moglie ed entrare di fatto nel gruppo degli uomini adulti della tribù.

CURIOSITÀ

lucy

Lucy è una giovane ominide di circa vent'anni vissuta tre milioni e mezzo di anni fa.
Il suo scheletro fu scoperto nel 1974 da Donald Johanson e Tom Gray, in una regione dell’Hadar a 150 Km a nord-est da Addis Abeba.
Durante una perlustrazione di routine, ripassando una zona già esplorata varie volte, Johanson notò improvvisamente qualcosa, che si rivelò essere lo scheletro di un ominide, il più completo mai visto di un'epoca così arcaica.
Da alcune caratteristiche suppose che fosse una femmina e la chiamò Lucy, prendendo spunto dalla canzone dei Beatles Lucy in the Sky with Diamonds, che veniva continuamente ascoltata all’accampamento.
Da allora Lucy ha fatto molto parlare di sé e ha girato tutto il mondo: ha permesso ai paleoantropologi di avere, finalmente, una ricostruzione abbastanza completa di una parte dell' evoluzione umana.
Tajeb, Johanson e Coppens raccolsero cinquantadue frammenti ossei e identificarono così una nuova specie di Australopithecus afarensis, vissuto nell'Africa orientale fra i tre e i quattro milioni di anni fa, e che potrebbe essere un antenato comune agli Australoptheci e all'uomo. 
L'esame dei denti e delle ossa fa ipotizzare che Lucy avesse circa vent'anni e fosse poco più alta di un metro. 
Le braccia erano più lunghe delle nostre, ma era bipede, anche se capace di arrmpicarsi agilmente sugli alberi.
I resti del cranio sono molto frammentati, ma testimoniano una forte proiezione della faccia in avanti e una capacità cerebrale di circa 400 cmc, molto inferiore a quella attuale dell'uomo.
I paleoantropologi continuano a cercare e a scavare in Africa: sono infatti convinti che i predecessori dai quali si è evoluto l'uomo siano comparsi per la prima volta nell’Africa tropicale o sub-tropicale come evoluzione di qualche scimmia antropomorfa. Questa ipotesi è avvalorata dall’attuale massiccia presenza di scimmie antropomorfe in queste regioni, e dalla grande quantità di reperti fossili ritrovati, che fanno risalire la prima comparsa degli ominidi a 6-10 milioni di anni fa. 
Non è quindi escluso che prima o poi venga trovato qualche predecessore di Lucy, magari proprio in Etiopia. 

inj
L'injera è il tipico pane etiope.
Si presenta come una grande crêpe scura e spugnosa, con un gusto acidulo che difficilmente si può definire gradevole per un palato abituato al pane!
Nei ristoranti tradizionali vale la pena ordinare il baya-ynatu: su un grande cesto in vimini, chiamato mesob, viene messo un piatto con due grandi injere sovrapposte e rimboccate lungo i bordi.
Al centro si versano piccole porzioni si salse e cibi etiopici: il wot (salsa piccante), il doro wot (spezzatino di pollo), il kai wot (spezzatino di carne), verdure e aib (formaggio fresco). Tutti i cibi sono piccanti o comunque molto saporiti.
Si strappa un pezzetto di injera e con esso si prende il cibo e lo si porta alla bocca.
Accompagnata al gusto piccante di questi cibi, il sapore acido dell'injera non si avverte e risulta un'ottima alternativa alla forchetta.
In alcuni casi l'injera viene servita in una sorta di rotolo che, come fa notare la Lonely Planet, assomiglia incredibilmente alle salviette calde servite sugli aerei. 
L'injera è preparata con il teff, un cereale che cresce sull'altipiano e che è ricchissimo di ferro: come tutti i cereali contiene calcio, potassio, proteine ed è ricco di carboidrati. Il teff ha una particolarità: la sua buccia, un po' come l'uva, contiene una sorta di lievito naturale, di conseguenza nella preparazione dell'injera non si aggiunge lievito.
Il teff viene macinato e con la farina si prepara un impasto che viene lasciato fermentare per qualche giorno.
La farina di teff viene poi impastata con acqua e sale e cucinata in un piccolo forno: il mafade, un disco di terracotta chiuso da un coperchio mobile, che viene sistemato direttamente su un fornello di fango e argilla. 
Oltre al teff l'injera può essere preparata con mais, miglio, sorgo o riso ma in questo caso assume un colore diverso.
Una buona injera è chiara, sottile e di spessore uniforme e non contiene crusca o altre impurità. Nei villaggi dell'altipiano l'injera viene conservata e trasportata in grandi cesti di vimini, ricoperti di fango.
Sebbene l'injera sia considerata uno dei piatti nazionali, il suo uso non è diffuso nel sud, dove per ragioni climatiche non è facile coltivare il teff.
Le tribù del sud preparano il qocho, una sorta di focaccia fatta con la farina di ensete. 

ensete
L'ensete appartiene alla famiglia del banano e in effetti assomiglia parecchio ai veri banani, soprattutto per le foglie. 
La differenza sostanziale sta che non produce i classici frutti a casco, per mancanza di ramificazioni nel rizoma.
Più alto di un vero banano (può raggiungere anche i 10 metri), dal tronco violaceo, dalle grandi foglie verde brillante, resistente alle malattie e alle variazioni climatiche, ha salvato milioni di etiopi dalla fame, durante le carestie che periodicamente affliggono il paese. 
L’ensete o "falso banano" viene coltivato soprattutto a sud, nelle lowlands. 
Sull'altipiano domina invece il teff, il cereale con la cui farina si prepara l'injera. 
L’ensete viene utilizzato come cibo solo in Etiopia. 
Quando raggiunge otto anni di vita il tronco viene abbattuto, spezzato e ridotto in polvere. Questa "farina" viene avvolta nelle foglie dell'ensete stesso e messa sotto terra a fermentare per oltre sei mesi. Si ottiene così la polvere di qocho, che viene bollita e cucinata. La focaccia di qocho, dal sapore aspro e pungente, è il cibo base di tutto il Sud dell’Etiopia. 
Le foglie dell'ensete vengono utilizzate per costruire i tetti delle capanne, per nutrire gli animali, per confezionare cesti e cappelli. Con le fibre si ottengono corde e con le radici si preparano medicamenti. 
Non stupisce dunque che ogni etiope delle lowlands coltivi le proprie piante di ensete nel giardino di casa sua!

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